Continuando il discorso sul non attaccamento, oggi vorrei soffermarmi sull’essere dipendenti dalle situazioni che viviamo.
Questa è una dipendenza che ho vissuto in prima persona, ero identificata con l’essere una buona psicologa e quindi la gran parte delle mie energie erano focalizzate sul mio lavoro, non prestavo attenzione ad altri miei desideri o a quello che sentivo. Non riuscivo a prendermi cura di me, non sentivo la stanchezza e non sapevo limitarmi.
Oltre che al lavoro, l’attaccamento può essere anche alla malattia, come ci racconta Anita Moorjani nella sua autobiografia “Morendo ho ritrovato me stessa”.
“Durante i primi mesi successivi alle dimissioni dall’ospedale, (dopo l’esperienza di premorte e guarigione dal cancro n.d.a.) mi sentivo euforica, come se fossi sempre su di giri. Tutto e tutti mi sembravano belli e c’era qualcosa di magico e di meraviglioso persino nell’oggetto o nell’episodio più banale.
Prendi i mobili del mio soggiorno, per esempio, che erano stati con noi per anni senza sembrare in alcun modo speciali. Dopo essere tornata a casa, scorgevo la bellezza nell’intarsio che non avevo mai notato prima e fui in grado di percepire la fatica che ci era voluto per fabbricarlo.
Ero stupita di riuscire nuovamente a guidare (cosa che non avevo più fatto negli ultimi otto mesi di malattia). Provavo una sorta di timore reverenziale per la mia capacità di coordinare le mani, gli occhi e le gambe al fine di guidare per le strade della città. Ero ammaliata dal corpo umano e dall’esistenza stessa”.
Quando siamo presenti a noi stessi, riusciamo a non dare per scontato tutto ciò che si disvela davanti ai nostri occhi, comprese le nostre abilità e capacità. Al contrario quando subentrano i pensieri automatici, i nostri condizionamenti mentali prendono il timone della nostra mente e diventiamo autocritici, pensiamo di non essere abbastanza adeguati, veloci, performanti ecc..
Spesso nelle famiglie si sentono parole come “Svegliati!” “Sbrigati! Fai veloce”, come se fossimo continuamente spinti ad essere uniformati sullo stesso standard di comportamento e non comprendendo che ognuno di noi ha abilità uniche, anche se serve magari un po’ di lentezza perché vengano alla luce.
Impariamo a non dare nulla per scontato, abbiamo visto nella scorsa istantanea che quando non possiamo fare qualcosa che ci piace tanto, ne vediamo la meravigliosità, ne sentiamo la mancanza, ma spesso quando ce l’abbiamo non le diamo tutto quel valore.
La malattia come identità
“Col passare dei mesi, iniziai a sentire il bisogno di fare qualcosa della mia vita. Ma quando pensavo a quello che mi sarebbe piaciuto fare, mi sentivo sopraffatta. Non sapevo da che parte cominciare e rimettere insieme i pezzi. Il mondo non era lo stesso posto che mi ero lasciata alle spalle.
Avevo passato gli ultimi quattro anni a gestire la malattia. In tutto quel periodo, la mia concentrazione si era completamente riversata sul mio stato di salute. Avevo trascorso anni a leggere, studiare e informarmi sul cancro.
Lo scopo della mia vita aveva ruotato attorno al male e al tentativo di guarire. In un certo senso, avevo iniziato a identificarmi più con la malattia che con la vita. E adesso il cancro non c’era più. Che cosa avevo intenzione di fare con il resto della mia vita?”.
L’identificazioni con lo stato di malattia succhia ogni energia vitale e porta ad avvitarsi su se stessi, con il risultato di non vivere. L’unico modo per uscire da questo attaccamento, è vivere pienamente il presente.
Provare a fare le cose osservando i nostri movimenti, le emozioni che ci suscitano. Ad esempio quando guidiamo mettiamo in atto azioni per lo più automatiche, però noi abbiamo stati d’animo diversi ogni volta che ci mettiamo alla guida. Oltre alla strada che dobbiamo percorrere, osserviamo noi stessi senza giudicarci: magari un giorno siamo più rilassati e propensi a rallentare e osservare il panorama, un altro giorno siamo di corsa e ci danno fastidio tutte le altre macchine.
Se siamo bloccati nel traffico possiamo osservare il panorama intorno a noi, vedere sfumature che non avevamo colto nei giorni precedenti, godere dell’azzurro del cielo per quello che ci dona in quel momento, senza stare a soffermarci troppo a pensare che vorremmo essere al mare o in montagna, invece che in città.
Questo osservarci nel momento presente ci fa assaporare ogni attimo, anche quando stiamo facendo qualcosa che diamo per scontato, ma in quel momento abbiamo vissuto pienamente. Soprattutto così non permettiamo alla nostra mente di assillarci troppo con pensieri che in quel momento non ci servono.
L’attaccamento alle cose, alle persone e alle situazioni non ci lascia spazio per godere della meravigliosità del nostro corpo e di quello che ci circonda.
Proviamo allora a vivere il più possibile il presente ed essere grati a noi stessi per avere il desiderio di vivere pienamente la nostra vita.
Alla prossima istantanea.