Sento sempre di più il bisogno di rifugiarmi nel silenzio, di sfuggire all’assembramento delle parole che mi circondano.
Fino a qualche tempo fa parlavo tantissimo, spiegavo costantemente perché avevo fatto o avevo detto determinate cose, probabilmente nella speranza che gli altri mi capissero e mi accettassero.
Quando non sono presente a me stessa e vado nell’automatismo, a fine giornata mi capita di accendere la televisione e di farmi travolgere da altre parole, che spesso non sento molto nutrienti per me.
Cercare lo “svago” attraverso i media, non ci permette di creare uno spazio di silenzio, per stare in ascolto di noi stessi.
In questo momento particolare, dovuto alla pandemia, sono pochi i momenti con cui possiamo relazionarci con gli altri, ascoltando le persone che ci sono care con sguardi e contatti calorosi.
Abbiamo visto in una scorsa istantanea che si può morire senza contatto fisico e parole di vicinanza.
Nel libro “La luce in fondo” di Luigi Maria Epicoco a proposito possiamo leggere queste parole:
“Potremmo dire che scegliere il silenzio, innanzitutto, significa abbassare il volume a tutto ciò che nella vita crea rumore. Il rumore è un riempimento del vuoto, costruito appositamente affinché l’uomo non incontri la sua mancanza.
Abitare la propria mancanza significa, al contrario, alzare il tappeto del nostro cuore e guardare quello che normalmente nascondiamo, non ascoltiamo, non vogliamo affrontare. In questo senso noi sfuggiamo all’esperienza del silenzio perché fondamentalmente non vogliamo entrare nella nostra mancanza e guardarvi quello che è nascosto.
Quando si ha il coraggio di entrare nel silenzio, si viene scaraventati in modo traumatico dentro una folla interiore, che proprio perché non riceve mai diritto di parola, non appena le viene data l’opportunità, urla con violenza le proprie ragioni.
Sono le grida delle nostre paure, delle nostre insicurezze, sono le espressioni dei giudizi che abitano nelle nostre ferite, delle nostre speranze, che non abbiamo il coraggio di assumere come stelle che ci guidino. Sono i ragionamenti contorti della nostra mentalità nata da un’educazione, da un sentire che ci è stato trasmesso da qualcun altro.
Sono le urla dei nostri desideri inconfessabili, quelli che cerchiamo di reprimere e che non trovando nessuna via d’uscita, ci producono insoddisfazione, rabbia frustrazione. Insomma ognuno di noi è abitato da una folla e il silenzio è la capacità di saper mettersi in ascolto di questa folla che ci abita”.
Queste parole ci spiegano in parte perché noi sfuggiamo al silenzio, abbiamo paura di sentire le nostre voci interiori di giudizio, di contattare dei desideri che pensiamo di non realizzare e questo perché magari abbiamo dei progetti sul nostro avvenire che sono stati in realtà costruiti da altri.
Abbiamo paura che quello che desideriamo non sia adeguato per le aspettative della società e fuggiamo dal silenzio perché non vogliamo sentirci. Peccato che questo non ascoltarci alla lunga ci porti ad un malessere, che possiamo curare ritrovando il silenzio, per poterci ascoltare profondamente.
A volte sentiamo il peso dei giudizi e delle aspettative delle persone intorno a noi, che ci illustrano percorsi fatti da loro, come se anche noi dovessimo ripercorrere la stessa strada. Ma noi abbiamo il diritto di trovare la “nostra” strada, di poter realizzare ciò che sentiamo, anche magari facendo degli errori e di crescere anche attraverso di essi.
Diamo valore alle parole che diciamo, in certi momenti sono importantissime per sostenere qualcun altro, ma non diamo potere a quelle che ci tengono nell’insicurezza, sia che provengano dai social media, che dalle persone che vivono con noi e che spesso rappresentano il futuro in modo catastrofico.
Alla prossima istantanea