Un po’ di tempo fa ho parlato di una mia paziente che soffriva perché la mamma le trovava da ridire su tutto. Questa sofferenza prima di tutto lei la sentiva nello stomaco.
Anche io, a vent’anni, quando ho iniziato a dare gli esami all’università, soffrivo di colite, perché probabilmente pensavo di non essere all’altezza. Questo perché il nostro corpo ci dà dei rimandi su come stiamo affrontando una situazione.
Il nostro istinto è di scappare, venire via dal disagio, ma ora abbiamo capito che, se ci fermiamo e lo accogliamo, possiamo affrontarlo decisamente meglio.
Se ascoltiamo questo disagio e andiamo a vedere veramente cosa c’è sotto, permettiamo a noi stessi, nel tempo, di liberarci. Il problema fondamentale, sia per me che per la mia paziente, era il giudizio che avevamo di noi stesse, anche se lo attribuivamo ad altro.
Uno strumento efficace è: mi fermo, provo a stare con questo disagio sapendo che, come le nuvole, va e viene, che passerà.
Mentre c’è ci sto dentro, perché questo disagio mi aiuterà ad avere delle intuizioni su quello che vedo e sento nel profondo e quindi sarà uno strumento in più per potermi liberare di piccole e grandi catene che mi sono costruita nel tempo, dovute ai condizionamenti.
Nel libro sulla Mindfulness, Mark Williams e Danni Penman a questo proposito scrivono:
“Concentrarsi sul corpo mette un po’ di spazio tra noi e il problema e ci evita di immischiarci immediatamente.
Usiamo il corpo per voltarci in direzione della negatività ma, invece di utilizzare la mente analitica, elaboriamo il problema contenendolo in uno stato mentale diverso, lasciando che sia la parte più profonda e più saggia dell’unità corpo-mente a svolgere questo compito.
Le reazioni fisiche alla negatività spesso forniscono un segnale più chiaro e più coerente sul quale ci è più facile restare concentrati, inoltre ci renderemo conto che le sensazioni fisiche tendono ad andare e venire, come anche gli stati d’animo che tendono ad apparire e sparire da un istante all’altro.
Avete mai fatto caso a come reagiamo quando ci chiedono di provare a richiamare alla memoria una difficoltà?
Ebbene, solitamente reagiamo cercando di voler affrontare di petto il problema, lo vogliamo analizzare, tentare di risolverlo e ci rimuginiamo sopra.
Allora dovremmo ricordare a noi stessi di riportare l’attenzione al corpo in modo da occuparci delle reazioni fisiche ai nostri pensieri, attimo dopo attimo.
La meditazione delle difficoltà
Con questa meditazione impariamo ad accettare le sensazioni fisiche che sentiamo, lasciando che siano, esplorandole al meglio, senza alcun giudizio.
Come nello yoga, che arrivi ad esplorare il limite di un allungamento.
Nel corso della meditazione manteniamo uno stato di apertura ed indagine come fossimo degli esploratori.
Durante questa meditazione teniamo sotto controllo l’istinto di risolvere o aggiustare le difficoltà che ci sorgono nella mente. Se ci viene il desiderio di risolvere un problema specifico potremmo attivare il pilota automatico della mente e i percorsi neuronali dell’avversione. Tutto ciò senza accorgercene come avviene al di sotto del livello di consapevolezza.
Difficoltà come nemico
Se inizialmente ci sembra troppo difficile questa meditazione sentiamoci liberi di lasciarla perdere, per ora, limitandoci a praticare tutti i giorni le altre meditazioni, torneremo a riprenderla in seguito.
Portare verso le nostre difficoltà l’accettazione consapevole è efficace innanzitutto perché riusciamo a spezzare il primo anello di un concatenamento che porta a una spirale negativa discendente. Se non ci infiliamo nella spirale discendente, ne riduciamo progressivamente lo slancio.
Quando ci viene in mente una difficoltà la reazione abituale del nostro cervello è trattarla come un vero proprio nemico, perché la mente tende a mettere a tacere i sistemi creativi di avvicinamento; ma quando si ricorda il passato o si anticipa il futuro la difficoltà è semplicemente una rappresentazione nella nostra testa, non è reale, dunque questo non servirebbe.
Sentirsi in trappola: quando il corpo si sottomette o scappa
Infatti, quella reazione ostile del cervello finisce per chiudere a chiave tutto quanto e bloccare la creatività: ci sentiamo in trappola, quindi il corpo affonda nella sottomissione oppure parte in quarta a “combattere o fuggire”.
Uno studio ha accertato che le persone valutate come poco consapevoli, che trovavano difficile restare nel momento presente, arrivando ad essere così focalizzati sul proprio scopo da perdere contatto con il mondo esterno: rivelavano un’iperattività cronica dell’amigdala, che sta alla base del sistema di lotta fuga.
Chi passa la vita ad un ritmo frenetico forse pensa di riuscire in quel modo a fare più cose, al contrario attiva il sistema eversivo del cervello e mina alla base proprio quella creatività che va cercando.
L’accettazione consapevole
La seconda ragione per cui l’atto di applicare alle difficoltà un’accettazione consapevole funziona, è perché consente di rendersi conto di quanto esatti siano o non siano i propri pensieri.
Prendiamo per esempio il pensiero “non ce la faccio”: se osservi la tua reazione a questo pensiero, se riesci a percepire attivamente la contrattura dei muscoli di spalle e stomaco prima che la sensazione si allenti e svanisca, ti rendi conto con maggiore chiarezza che si trattava di una paura, non di un dato di fatto.
Diversamente da quanto temevi, ce l’hai fatta a far fronte alla situazione, si trattava di una paura potente e pressante ma non di un fatto reale. Fare riscontri sulla corrispondenza fra pensieri e realtà è un antidoto potente alla negatività in ogni sua forma.”
Naturalmente so che, soprattutto all’inizio, non è facile stare nel disagio, perché la prima cosa che ci viene da fare è scappare via, però credetemi che ogni volta che sono riuscita a meditare sul disagio ho ottenuto veramente grandi risultati.
Prima di tutto essere libera e poi successivamente, nella realtà, mi sono capitati meno episodi che mi hanno creato disagio.
Alla prossima istantanea…