Il collega Giulio Cesare Giacobbe, nel libro “Come diventare un Buddha in cinque settimane” scrive che il buddhismo si è molto diffuso come una religione ma che, secondo lui, Buddha era uno psicologo, dal momento che ha cercato di rispondere a questa domanda: “Cosa produce la sofferenza?”
Buddha, con un viaggio all’interno di se stesso, è arrivato alla conclusione che la sofferenza proviene da “Una visione errata della realtà”.
Ha cercato quindi, con nuovi pensieri e comportamenti, di arrivare alla serenità e alla gioia.
Buddha dice: “Il mio insegnamento non è una teoria, né una filosofia, ma il frutto dell’esperienza. Tutto ciò che dico viene dalla mia esperienza e lo puoi verificare anche tu attraverso la tua esperienza. Le parole non descrivono la realtà, ma solo l’esperienza ci rivela il suo volto”.
Quindi il Buddha utilizza più una pratica che una teoria.
La mia psicoterapeuta mi assegnava dei compiti a casa per poter fare le esperienze che io volevo evitare e, conclusa la psicoterapia, la meditazione mi ha aiutata a stare nelle esperienze con maggiore consapevolezza.
La pratica della meditazione di consapevolezza ci aiuta a calmare la mente e ad aumentare le intuizioni e il nostro sentire, a scegliere i comportamenti che ti aiutano ad essere più gioioso e felice.
I momenti bui ci aiutano a risorgere a nuova vita
L’autore scrive di aver ereditato la sua buddità dal figlio:
“Mio figlio Yuri è morto all’età di 27 anni. L’età esatta in cui il Buddha raggiunse l’illuminazione. Yuri era un Buddha, una di quelle incarnazioni del Buddha che, secondo il buddhismo, compaiono ogni tanto sulla terra.
Sin dalla sua nascita, egli si è rivelato di una serenità e di un amore incomparabili. In tutti i suoi 27 anni di vita non l’ho mai sentito una volta adirarsi o inveire contro qualcuno. Al contrario egli era sempre sorridente e tollerante con tutti e comunicava a tutti il suo amore incondizionato senza neppure parlare, con un sorriso e con un tocco della mano, ma tu lo sentivi fortissimo dentro di te.
Chiunque lo sentiva. Qualunque cosa tu facessi, egli ti era sempre vicino e ti faceva sentire il suo amore assoluto e incondizionato. E’ morto di una banale influenza, ma morendo ha compiuto un miracolo: ha trasformato suo padre, questo vecchio peccatore, in un Buddha.
Egli ha passato a me la sua buddhità che, dunque, ho acquistato senza nessun merito. La mia vita si è trasformata, ho visto l’illuminazione, ho visto e inciso nella mia carne totalmente, definitivamente, l’assoluta precarietà dell’esistenza.
L’unica realtà del qui e ora è l’importanza assoluta ed esclusiva dell’amore, dell’allegria e della gioia. Ho visto così che diventare Buddha si può. Il mio buddhismo da teorico è divenuto reale, così è nato questo libro, vivendo nella mia carne l’insegnamento del Buddha che conoscevo già teoricamente. Ho realizzato quella buddità che chiunque, senza bisogno che gli muoia un figlio, può realizzare”.
Mi è capitato di incontrare alcune persone che, dopo aver vissuto dei lutti, sentono di aver subito una grande ingiustizia, ma le esperienze drammatiche ci possono sempre insegnare qualcosa. Queste parole ne sono un esempio.
Ognuno di noi ha la responsabilità della sua possibilità di essere felice e gioioso, nonostante la sofferenza delle situazioni più tristi e difficili.
Alla prossima istantanea.