Nella mia istantanea precedente ho parlato dell’attaccamento, di come è importante lasciarlo andare per riuscire a vivere nella felicità.
Il venir meno dell’attaccamento mi ha permesso di diventare man mano il punto di riferimento di me stessa e di acquisire più fiducia nei confronti dei cambiamenti e dell’ignoto.
Così ho imparato a vivere in modo più leggero, ho lasciato andare il bisogno di essere controllante nei confronti degli altri. Non mi aspetto che essi facciano cosa io penso sia meglio.
Ho imparato a sentirmi sicura anche senza la loro presenza costante, possiamo incontrarci senza dipendere l’uno dall’altro.
Nel libro “Come diventare un Buddha in cinque settimane” Giulio Cesare Giacobbe ci aiuta a capire perché vogliamo stare nell’attaccamento, perché abbiamo paura di rimanere senza dei punti di riferimento.
“Non avere nella vita punti di riferimento, sicurezze, è sicuramente terribile … cioè per il bambino. Per l’adulto no. L’adulto ha raggiunto la capacità di badare a se stesso senza assistenza e protezione …
E’ talmente sicuro di sé e talmente capace di aiutare se stesso, che diventa capace anche di aiutare gli altri. Diventa capace di essere genitore”.
Aggiungo che noi siamo al servizio degli altri non solo quando facciamo i genitori, ma anche quando lavoriamo.
L’autore prosegue: “Il non attaccamento gli fa superare anche l’egoismo personale dell’adulto, così può occuparsi degli altri. Egli non pretende più nulla dagli altri, non si aspetta più nulla dagli altri.
Un Buddha non ha aspettative: accetta e gode ciò che c’è. Le aspettative sono infatti la causa principale della nostra sofferenza”.
L’autore sottolinea che “il non attaccamento non significa non amore, non è indifferenza, non è pretesa di possesso”. Quindi non voglio rivendicare nulla all’altro, mentre quando sono in una situazione di possesso sono guidato dall’ego.
“E’ proprio l’amore il risultato del non attaccamento ed è proprio l’egoismo il risultato dell’attaccamento”.
Amo me stesso per amare gli altri
Questo succede perché quando io amo me stesso so dare amore a me e agli altri, l’amore dentro di me lo dono agli altri, mentre quando non ho amore per me lo pretendo dal mio partner, dai miei genitori, dai miei figli, dagli amici.
E’ il non amore quindi che porta all’egoismo e non al contrario. Quando non amiamo noi stessi, ci aspettiamo che l’amore ci arrivi da fuori, vogliamo essere considerati e possiamo diventare egoisti e rivendicativi, imponendo anche i nostri desideri agli altri.
Ad esempio: voglio andare a cena al ristorante con gli amici anche se so che i miei figli si annoieranno e per far sì che non disturbino a tavola, permetto loro di guardare i cartoni sul tablet, azione che magari a casa non voglio venga fatta.
Magari poi provo dei sensi di colpa e divento irritabile perché mi rendo conto che ho fatto una scelta egoistica. Quando abbiamo amore per noi stessi, teniamo meglio in considerazione i bisogni degli altri, perché siamo nella gioia e abbiamo voglia di dare amore a chi vive al nostro fianco.
Se scegliamo di fare un’azione che consideriamo egoistica lo facciamo con consapevolezza e quindi con integrità.
Possiamo scegliere di vivere le situazioni in modo trasparente, oggi decido di accontentare il desiderio dell’altro con amore e felicità, senza considerla una mia rinuncia. Domani posso scegliere di dire di no in libertà e fare qualcosa di nutriente per me senza aspettarmi nulla dall’altro.
Alla prossima istantanea
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