Oggi voglio fare una riflessione su un brano tratto dal libro di Thich Nhat Hanh che si intitola “Amare in consapevolezza”:
“fino a quando rifiutiamo noi stessi e ci danneggiamo il corpo e la mente, non serve a niente parlare d’amore e di accettazione degli altri.
Grazie alla consapevolezza, possiamo riconoscere i nostri modi abituali di pensare e i contenuti dei nostri pensieri. A volte questi girano in tondo, immergendoci nella sfiducia, nel pessimismo, nella conflittualità, nel dolore o nella gelosia; quegli stati mentali si manifesteranno spontaneamente nelle nostre parole e azioni, facendo del male a noi e agli altri”.
“Quando invece facciamo splendere la luce della consapevolezza sui nostri schemi di pensiero abituali, li vediamo con chiarezza. Riconoscere le nostre abitudini e sorridere loro: in questo consiste la pratica dell’attenzione mentale appropriata, che ci aiuta a stabilire percorsi neuronali nuovi e più benefici”.
Quando noi vediamo il mondo in modo in negativo facciamo del male a noi e a quelli che ci circondano.
Quando c’è rifiuto non c’è amore
E’ importante questo concetto, finché ho rifiutato di vedere alcuni aspetti di me, perché non facevano parte della idealizzazione che avevo di me stessa, non ho potuto attuare un cambiamento.
Il percorso che ha mi permesso di conoscermi è stato complesso e a tratti doloroso. Ricordo ancora la mia incredulità quando, in una seduta, la mia psicoterapeuta mi ha fatto notare che in una situazione avevo agito in maniera sadica.
Non ero mai riuscita prima a vedere con tanta chiarezza questa mia parte!
Scoprire di avere alcuni aspetti che giudicavo male e non negarli più, mi ha liberata. E’ importante non rifiutare le parti di noi che non ci piacciono, perché di conseguenza accetteremo di più i comportamenti degli altri, anche quelli che ci potrebbero fare male e ci libereremo della negatività derivata dai nostri comportamenti inconsapevoli.
L’amore e la compassione
Thich Nhat Hanh ci parla anche del: “grande potere risanante dell’amore. La parola sanscrita Karuna spesso è tradotta con compassione. Compassione significa “soffrire con” un’altra persona, condividere la sua sofferenza. Karuna è molto più di questo: è la capacità di rimuovere e trasformare la sofferenza, non solo di condividerla.
Quando vai dal medico, se egli si limita a condividere la tua sofferenza non serve a molto: un medico deve aiutare la persona a guarire dalla sofferenza. Quando ami qualcuno dovresti essere capace di dargli sollievo e aiutarlo a soffrire di meno. E’ un arte, questa.
Se non comprendi le radici della sua sofferenza, non puoi aiutare l’altro, proprio come un medico non può guarirti dalla malattia se non ne conosce la causa. Occorre comprendere la causa della sofferenza della persona che ami, per poterle offrire un qualche sollievo”.
Nel mio percorso ho imparato che se non vedevo le mie sofferenze, non potevo comprendere le sofferenze degli altri e che sono i giudizi che ognuno dà a se stesso che portano rabbia, tristezza, malinconia. Credo che vedere e riconoscere molte parti di me, sia stato molto utile anche per il mio lavoro da psicoterapeuta.
Ho tutto il viaggio della vita per vederne tante altre.
Imparare a vedermi, ad accettarmi e amarmi così come sono mi aiuta a comprendere gli altri e spesso, ad avere compassione. Vivere in questo modo, rispetto allo stare nel giudizio come facevo alcuni anni fa, è molto più piacevole. Non c’è niente che mi scandalizza di quello che fanno gli altri. Le persone agiscono per la consapevolezza che hanno.
Il provare compassione, non vuol dire provare “pena”, è in realtà un gesto di amore incondizionato. Come riesco ad amare me, riesco a comprendere te e amarti, per quanto tu possa avere un comportamento che può creare sofferenza.
Alla prossima istantanea